Salento in primavera: Lecce e dintorni

Il cofanetto Smartbox è lì, a terra, e sembra aspettare solo di essere sfogliato.

Non ho idea di come abbia perso l’equilibrio che lo teneva sul suo scaffale per andare a capitombolare tra i miei piedi, ma ora, con aria vagamente ammiccante, mi sta invitando a raccoglierlo, a me che mi ero completamente dimenticata della sua esistenza.

Istintivamente vado a controllare la data di scadenza. Ci siamo quasi. Ancora qualche mese e addio assegno regalo. Sfoglia, sfoglia, trovo un b/b che sembra fare al caso nostro, ma contattando la struttura scopro che non ci sono più camere libere.

Cerco altrove, da nord a sud, ma niente mi soddisfa come il primo. Mi ricontattano loro, dopo un lasso di tempo tale da farmi quasi dimenticare di cosa stavamo parlando. Una camera si è miracolosamente liberata per i giorni che mi interessano e senza indugio prenoto, pensando che il destino ci abbia messo un bello zampino anche stavolta.

Questo ponte del 25aprile è nato così, un po’ per caso, un po’ per magia..E per necessità. Non ho ricordo di un periodo più intenso e turbolento di questi ultimi mesi, vicissitudini varie che tra le altre cose mi hanno tenuta lontana anche dal blog. Questi tre giorni fuori sono una manna e mi ritrovo già svariate settimane prima a fare il conto alla rovescia per la partenza, come fossi una carcerata bisognosa di un’ora d’aria.

Il viaggio fino a Lecce è lungo, circa 600 km, così sabato partiamo di buon’ora. Facciamo sosta in un autogrill campano, dove i gentilissimi baristi ti offrono un gratta e vinci da accompagnare al caffè, (hai visto mai la ciorte), e un’altra appena all’ingresso della Puglia, in mezzo a colline verdi che sembrano dover spiccare il volo da un momento all’altro per via delle numerose pale eoliche che ingombrano il paesaggio.

Manco da tanto da questa regione, che non esito a definire come una delle mie preferite, e non posso non notare come il panorama sia negli anni cambiato.

Arriviamo a Lecce nel primo pomeriggio nel nostro b/b che affaccia su una​ strada a due passi dalla stazione ferroviaria e dal centro storico. Si chiama Le Comari Salentine, e ha per simbolo delle simpatiche massaie corpulente di terracotta con tanto di abiti e grembiuli colorati.

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Sono tre le stanze che compongono il b/b, tutte sullo stesso pianerottolo, ricavate da quelle che evidentemente erano delle abitazioni private. Veniamo raggiunti dal proprietario, un ragazzo alto e dal bel sorriso, originario di Caserta, ma ormai perdutamente innamorato del capoluogo salentino. Ci suggerisce di scaricare sui nostri cellulari la app LecceAmica, un modo semplice e immediato per studiare percorsi, itinerari e per consultare comode audio-guide per i luoghi di principale interesse culturale.

Ci riposiamo, laviamo via un po’ di stanchezza, quindi usciamo per una passeggiata serale. Il centro storico è a due passi. Siamo vicini l’ex convento di Santa Maria del Carmine, la Biblioteca, dall’importante colonnato dorico, al Duomo.

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I viottoli acciottolati, così come i negozi di souvenir che vendono leccornie tipiche dolci e salate, dai taralli in ogni gusto, alle creme di peperoncino e di cime di rapa, sono presi d’assalto da turisti in cerca di un ricordo, ma forse stasera soprattutto di un riparo.

Fa un freddo micidiale. Decidiamo di cercare anche noi un posticino per sfuggire alle grinfie della tramontana e la scelta ricade su un pub, La Sapore.

I locali e le specialità che abbiamo provato nel corso di questi tre giorni non sono state lasciate al caso, perché per noi mangiare e bere bene è una cosa seria. Ci siamo fatti consigliare da amici pugliesi, sparpagliati tra Lecce e Bari, e devo dire che non avremmo potuto fare scelta migliore.

La Sapore (a Lecce si tende a mettere l’articolo femminile davanti a qualsiasi sostantivo…), è un locale dalla forte personalità, un grotto un po’ osteria un po’ birreria, con un accogliente giardino interno, dove propongono piattini sfiziosi per l’aperitivo, ma anche vere e proprie pietanze tra le quali la carne di cavallo al sugo, i polpi al tegame, le polpette fritte.

La bontà dei piatti ordinati, delle birre particolari, unita alla gentilezza e all’accoglienza dei ragazzi dello staff ci hanno fatto dimenticare il freddo che ci attende fuori e ci hanno fatto sentire davvero al sud.

Domenica il sole brilla sereno e alle 10 siamo già a far colazione al bar convenzionato con il b/b. Non mi piace quando sul cofanetto Smartbox scrivono b/b e invece si tratta di un affittacamere… Questa cosa dei coupon da esibire prima della consumazione al bar, poi, la trovo assurda, anche perché i pochi posti per accomodarsi sono già tutti occupati e soprattutto sono già finite le brioches.

Se volete ci sono quelle in busta“- ci propone la signora dietro il banco, mostrando con la mano la solita sequela di snack e merendine che si possono trovare in qualsiasi supermercato, così un po’ delusi ci limitiamo a prendere solo da bere.

Torniamo in Piazza Duomo, tutta vestita a festa in occasione della SalentOssigeno, una manifestazione di auto e moto d’epoca intervallata da incursioni di attori vestiti da dame e damerini dell’800. Un contrasto storico temporale notevole.

Ovunque è pieno di curiosi, turisti, ragazzi che offrono palloncini con il logo della manifestazione, fiori.

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Proseguiamo a piedi inoltrandoci nel cuore del centro storico, dove l’inconfondibile pietra chiara leccese conferisce una luce particolarissima e diversa a seconda del momento della giornata alla città intera.

Alcune abitazioni hanno un’aria talmente vissuta, con gli intonaci mezzo scrostati dagli anni, da sembrare uscire direttamente da un affascinante presepe.

I balconi stretti, quasi tutti sorretti da eleganti mensoloni decorati, le finestre incorniciate da maschere, pigne, spesso di brillante ceramica smaltata, gli importanti rosoni delle numerose chiese presenti, una più ricca e sfarzosa dell’altra, non lasciano spazio a dubbi sull’anima fortissimamente barocca di questa città.

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Arriviamo in Piazza Sant’Oronzo, dove alle spalle della statua del patrono si aprono le rovine perfettamente conservate di un antico anfiteatro romano.

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Per pranzo proviamo una pucceria tipica sempre suggerita dai nostri amici locali. Si chiama L’Angolino di Via Matteotti, ed è specializzato in pucce. Cosa è una puccia? È un tipico street food pugliese, una specie di pagnotta rotonda e morbidissima da farcire a scelta. Nel Salento si usano molto condimenti come carne di cavallo al sugo, di mulo, polpette, il tutto accompagnato da una ampia scelta di verdure sotto olio o ripassate in padella con olio e peperoncino. Mamma, che bontà!

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Anche qui, prezzi e accoglienza che ti fanno venir voglia di tornare…

Dopo pranzo ci dirigiamo verso la Basilica di Santa Croce, purtroppo in restauro, quindi passando per il cortile interno del Palazzo della Provincia, trascorriamo qualche ora nella bella Villa Comunale, un parco ben tenuto con fontane, parchi gioco per bambini e un elegante tempietto dalla cupola a scaglie smaltate verdi brillanti proprio al centro.

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Corto Maltese in una bottega che vende fumetti usati

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Dopo esserci riposati usciamo nel tardo pomeriggio per andare a cena a Gallipoli. La via principale, Corso Roma, piena di negozi e locali, è bloccata dal traffico, ma riusciamo comunque a trovare un parcheggio proprio nei pressi del porto.

Il colpo d’occhio sul mare al tramonto, calmo, placido, è qualcosa di speciale e invita a restare a guardare il sole sparire oltre l’orizzonte per un po’.

La luce di un faro si accende in lontananza, le sagome nere in controluce di due ragazzi seduti sulla banchina del porticciolo, tra i piccoli pescherecci ordinatamente ormeggiati, il rumore della risacca sulla spiaggia che si mescola alle risate dei consumatori di aperitivi in uno dei tanti bei locali con le fiaccole accese lungo la riviera.

Gallipoli è ricca di suggestioni. Non ero partita con grandi aspettative, chissà perché, e invece mi sono dovuta ricredere. Forse meno elegante di Lecce, Gallipoli conserva quel fascino e quella semplicità da borgo di pescatori, dove la gente ancora profuma e vive di mare.

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Per cena ci hanno consigliato un ristorante di pesce del centro storico, Capitoni Coraggiosi.

Il nome ci fa sorridere. Immaginiamo il proprietario come una persona perspicace e piena di umorismo e questa cosa ci piace un sacco.

Il posto è una semplice ma verace taverna di mare, con tavoli apparecchiati in maniera sobria e una cucina a vista. Lo staff è premuroso e attento, ma quello che più mi ha colpito è stata la passione dello chef, Andrea, un ragazzo entusiasta del suo lavoro, della sua terra, del suo mare.

Ci propone un antipasto di polpo scottato su crema di patate e rosmarino, seguito da un piatto di ravioli al sugo di rana pescatrice e un tagliolino al nero di seppia che sono una gioia per gli occhi e  il palato, il tutto accompagnato da uno Chardonnay salentino, talmente fresco e gradevole da farmi sentire felicemente alticcia.

Di posti che propongono piatti a base di pesce ce ne sono a bizzeffe, specialmente a Gallipoli, ma credo che pochi siano speciali come questo.

Il giorno seguente ce ne andiamo a Otranto. Ho un ricordo magnifico di questa cittadina, visitata da ragazza in una calda e affollata serata di agosto di tanti anni fa.

Oggi non c’è quasi nessuno in giro ed è un piacere crogiolarsi un po’ al sole, in spiaggia. Il vento non invita a fare il bagno, al contrario dell’acqua, di un azzurro spettacolare puntinato qua e là da barche a vela. Si dice che gli abitanti di Otranto siano soliti fare i bagnanti al porto, e non sfido a crederlo.

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Dal belvedere terrazzato su questa distesa blu ci inerpichiamo lungo le vie antiche del centro storico, dove per un soffio riusciamo a vedere gli interni della Cattedrale di Santa Maria Maggiore.

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Le navate ad arcate, il rosone, ma soprattutto lo spettacolare mosaico che ricopre tutto il pavimento della chiesa, anch’esso di epoca medievale, sono di grande impatto, e cerco di interpretare le immagini che rappresentano varie scene dell’Antico Testamento, dall’Albero della Vita, al Peccato Originale, fino ad arrivare all’ascesa di Alessandro Magno in cielo accompagnato da due grifoni. Come sempre l’arte del passato sapeva fare propaganda politica anche nella più sacra delle rappresentazioni. La chiesa è famosa per essere stata teatro di uno dei più efferati atti di violenza ai danni della popolazione locale.  Rifugiatasi all’interno del luogo sacro per sfuggire ai pesanti giorni di assedio, vennero spietatamente trucidati dagli ottomani nel 1480. La cattedrale venne trasformata in moschea e parte degli affreschi andarono distrutti. Un posto affascinante per davvero.

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Proseguiamo lungo vialetti lindi e casette bianche incorniciate da incantevoli giardini mediterranei e bouganville in fiore. Sembra di essere in Grecia. Le botteghe di ceramica artigianale, che oltre a vasi, piatti e brocche propongono fischietti, campanelle e pigne bene auguranti, sono spesso ricavate da cantine ipogee e danno un minimo di refrigerio dalla calura. E siamo in aprile, figuriamoci d’estate!

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Saliamo in cima al Castello dove un’ampia terrazza panoramica offre scorci indimenticabili sul mare.

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Penso a quanto si cambi col passare degli anni, a quanto ora noti cose come il caldo, la folla, il ristorante troppo pieno, tutti fattori che a 20 anni nemmeno consideravo. Ma visto che ora di anni ce ne sono 37 e devo pensare anche alle esigenze del bambino, per pranzo scegliamo un localino tranquillo e defilato, senza camerieri che ti propongono una Babele di menù e con i tavoli al fresco. Si chiama C’era una Volta. Degno di nota il mio primo piatto, cozze ceci e tria, una pasta simile a uno spaghettone in brodo di legumi e molluschi. Buonissimo.

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Mi fa piacere che certi luoghi siano rimasti belli come li ricordavo, che non siano stati rovinati dall’incuria o il turismo di massa. E lo stesso discorso vale anche per quella porzione di Salento che ci apprestiamo a visitare dopo. Santa Cesarea Terme, Porto Badisco, Castro.

Credo la primavera sia davvero il momento più bello dell’anno per visitare il Salento, non solo perché la bassa stagione tiene ancora lontana l’orda turistica, permettendo al fortunato viaggiatore di esplorare tutto con molta più calma, ma soprattutto per i colori. D’estate è tutto secco, quasi arido, viste le temperature che si possono arrivare a toccare. Invece in primavera è un tripudio di fiori di ogni colore, dal verde dei pini marittimi al giallo delle ginestre, al viola dell’aglio selvatico, il tutto mescolato con l’aria salmastra che apre i polmoni e scompiglia i capelli.

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Visitiamo la splendida Grotta della Zinzulusa. Solo 6€ e 120 gradini per raggiungere questo spettacolo della natura che però visitiamo solo da fuori perché Sami ci sembra vagamente spaventato. Ma già dall’ingresso si resta senza parole, questa caverna quasi concentrica sulla quale penzolano gli zinzuli, stalattiti che la fantasia locale vorrebbe come degli stracci stesi, schiaffeggiata dalle onde che riescono a trovare un varco anche in questa ansa aspra e rocciosa, resa ancora più misteriosa dal nero dei residui di guano dei pochi pipistrelli rimasti a vivere al suo interno e il viola del fondale marino.

Il sole ci scalda mentre torniamo in macchina a Lecce, dopo aver preso un fresco gelato con vista. Siamo stanchi e stasera preferiamo riposare un po’ in stanza. Pizza a taglio, frutta e Alien in TV. E chi sta meglio di noi?

Il giorno dopo ce ne torniamo a casa, ma prima facciamo una sosta nella celebre Polignano a Mare, tanto è di strada.

Sarà il giorno festivo che ha richiamato tutta Bari e provincia qui per una gita fuori porta, sarà la totale mancanza di organizzazione che ci fa aspettare più del dovuto per pagare un semplice parcheggio, sarà la fiumana di turisti in fila per le vie del centro storico, non so, a me ha convinto poco.

Non mi fraintendete, le bellezze paesaggistiche, il mare, le grotte, sono favolose. E anche il paese è bello, tutto chiaro, immacolato, però ecco mi è sembrato fin troppo chiaro e immacolato.

Sembra tutto finto, artefatto, messo lì a posta per compiacere il visitatore che sarà contento come un allocco per essersi portato a casa quella foto che ritrae la motoretta d’epoca con sopra una bella mostra di ortaggi freschi, anche se per lo scatto si è fatto privare di un euro.

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È troppo turistico Polignano, pieno di trappoloni per turisti, pronta a chiedere tributi senza dare niente in cambio (i bagni pubblici, per esempio. Offerta libera, ok, ma se poi non trovo né la carta igienica né la chiave per chiudere la porta, né sapone o asciugamani a cosa servono questi soldi?!)

Ci deliziamo con un bel pezzo di focaccia barese e siamo pronti a rimetterci in viaggio e senza troppo traffico arriviamo a Roma verso le 18.

La Puglia non delude mai.

Senza nulla togliere alle località di mare più famose d’Italia, in regioni più blasonate e pubblicizzate, credo che il mare che si trovi qui nel Salento, sia senza uguali.

Il Salento è una terra che da sempre mi affascina. Per la sua natura selvaggia e prepotente, per la sua cultura a cavallo tra Occidente e Oriente, per i suoi sapori forti e decisi, per le sue masserie bianche in mezzo a una infinità di ulivi, divisi tra loro solo da candidi muretti bassi.

Il Salento è luce, quella luce calda e avvolgente che difficilmente si trova altrove.

Il Salento è la sua gente, orgogliosa del suo passato e delle sue radici, che ha saputo mantenere aspetti sacri come l’ospitalità e il rispetto per il proprio territorio, da sempre con un occhio verso il passato e un altro verso il futuro.

Sono da sempre innamorata della Puglia e con questo breve viaggio si è rinnovata questa passione. Con già una gran voglia di tornare…

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