Quattro giorni. Questo il tempo che c’é voluto per farci innamorare della Sicilia. O meglio, di quella porzione di Sicilia che siamo riusciti a vedere, la Sicilia orientale, quella sorta nel ventre dell’Etna, la mamma muntagna che tanto dona e tanto toglie, se le gira male.
E’ impressionante vedere il vulcano già dall’alto, io che non lo immaginavo tanto vicino a Catania, invece le fa da sfondo perfetto, con la sua cima innevata, il vapore che sbuffa come una caffettiera e sembra proprio accogliere la città e tutta la piana di Caltagirone tra le sue braccia.
Non facciamo in tempo a scendere dall’aereo che già siamo in fila per ritirare la nostra auto con un arancino caldo in mano, una piramide in miniatura il cui peso è direttamente proporzionale alla sua bontà. In un certo senso somiglia a un vulcano bonsai anche lui, con quel cuore lavico di ragù pronto a esplodere da un momento all’altro.
All’autonoleggio ci fanno un upgrade gratuito e, sotto un sole che già sa di estate, raggiungiamo il nostro appartamento Airbnb, in una delle viuzze del centro storico, all’altezza della dogana del porto, appena aldilà dei portici del ponte ferroviario.
Roberta, la nostra host, incarna tutta la cordialità siciliana, anche se a prima vista non ha nulla di smaccatamente siciliano, almeno secondo i cliché siculi che vorrebbero le donne tutte more, olivastre e formose.
La nostra padrona di casa è alta e bionda, con la pelle diafana per quanto è chiara e ha gli occhi azzurri.
Ci fa strada all’interno di un palazzo del 1500, affascinante di primo impatto già da fuori e dal cortile interno.
Una rampa di scale dopo l’altra e, tra portici e balconate, arriviamo a un loft ristrutturato recentemente. Roberta e suo marito sono architetti e si vede che in questa casa c’è stato il loro occhio esperto più una certa dose di gusto tutto femminile per la scelta dei colori e degli arredi.
Tra tutti i consigli che Roberta ci regala il migliore è stato quello di salire sulla terrazza del palazzo dalla quale si può godere di una vista impareggiabile sui tetti, sul mare, sull’Etna e sulla cupola del Duomo e quella della vicina Chiesa della Badia di Sant’Agata.
Usciamo per una passeggiata serale, deliziosamente in bilico, come tutto il centro storico di Catania, tra il barocco più elegante e fastoso e quella aria decadente e nostalgica di certi quartieri che a me ha subito riportato alla mente l’Alfama di Lisbona.
Solo che per me Lisbona rimane una città di marinai, dove la gente va e viene, quasi una splendida terra di mezzo tra una tappa e una altra, dove difficilmente si mettono radici. Ma Catania no. Catania è una mamma che non ti lascia più, di quelle abili in cucina a preparare da mangiare per la famiglia numerosa, una di quelle mamme che ti mette il muso se te ne vai per un po’. Catania è una casa per la gente che ci è nata e cresciuta e probabilmente non se ne andrà mai, quella stessa gente che sembra uscita da un romanzo di Verga, le cui espressioni di disarmante umanità spesso nascondono storie di difficoltà e sacrifici.
Rimango a bocca aperta di fronte la magnificenza di Palazzo Biscari, a pochi passi da “casa nostra”. I finestroni così riccamente decorati che danno sulla Marina sono di una bellezza senza tempo e mi ritrovo a volare con la fantasia quando cominciano ad entrare i primi elegantissimi invitati a un evento privato, forse un matrimonio a giudicare dagli addobbi floreali, quasi partecipassero a un ballo in stile Gattopardo.
Una scolaresca in ricreazione gioca nel giardino della Cattedrale di Sant’Agata, mentre altri bambini del posto con le loro giovani mamme chiedono aiuto economico per i senzatetto dei quartieri di Librino, San Giorgio, Zia Lisa. Ci siamo passati in alcuni di questi quartieri l’ultimo giorno, persi alla ricerca di un benzinaio prima di riconsegnare la macchina e ci si rende subito conto di quanto la situazione sia drammaticamente diversa. Immondizia, sterpaglie, casupole ammassate tra di loro. Viene quasi da chiedersi che fine abbia fatto il barocco, se c’è mai stato, se si tratti quasi della stessa città. La cosa mi ha fatto riflettere perché qui il dimenticato, il disagiato, è italiano e secondo me non se ne parla abbastanza, focalizzati come siamo a dare la colpa agli extracomunitari “che vengono a rubarci il lavoro”, un alibi succulento per non assumersi responsabilità.
Dalla Piazza del Duomo, dove l’elefantino in pietra lavica simbolo della città trasporta sulla groppa un obelisco, si diramano alcune delle strade più importanti di Catania.
La prima sera imbocchiamo via Etnea, piena di bei negozi, caffè, pasticcerie, ma anche l’Università, dal cortile che sembra un rigoglioso giardino tropicale pieno di palme, e la Colleggiata, soltanto una delle tante, splendide chiese catanesi.
Una ragazza ci ferma per proporci una cena nel ristorante che rappresenta, ha tra le mani una marea di volantini, ma i suoi modi seppur gentili sono un po’ insistenti e decliniamo l’invito. Dietro la Colleggiata le strade trafficate cominciano a salire piano piano finché non arriviamo in Via dei Crociferi, storico crocevia barocco dove si affacciano, in poco più di 200 metri, monasteri, quattro chiese e la splendida Villa Cerami che ospita la facoltà di giurisprudenza. Il tutto intervallato da pub, localini interessanti e un museo di arte contemporanea.
Andiamo in uno dei ristoranti nei paraggi scelto in fretta per via della fame che sembra aver improvvisamente attanagliato Samuele. I camerieri siciliani sono fantastici. Sono tutti gentili e cordiali, alcuni quasi al limite del servile, ma quando poi fai una qualsiasi richiesta annuiscono in silenzio, con l’aria di chi la sa lunga, ma solo per compiacerti perché alla fine fanno come vogliono loro. Non mangiamo bene. La prima regola, se si vuole mangiare del pesce buono, è chiedere al cameriere cosa sia davvero fresco e cosa surgelato. Ma è la nostra prima sera e siamo ancora inesperti. Nei prossimi giorni aggiusteremo il tiro.
Domenica partiamo alla volta di Taormina in una giornata per niente sincera e con un principio di raffreddore per il piccolo Sami. Facciamo una sosta a Giardini Naxos, un paesino di mare dagli scorci meravigliosi ma di Giardini, come avevamo scritto sul nostro profilo Instagram, non vi è traccia. Ci fermiamo lungomare per concederci una passeggiata, incantati dalle onde lunghe del mare e un po’ invidiosi nei confronti di alcuni bagnanti del posto già alla ricerca della tintarella.
Saliamo tornante dopo tornante e si resta sbalorditi dalla perfezione di Isola Bella. Sembra disegnata da un bambino questa naturale lingua di ciottoli che si allunga in un mare cristallino per poi aprirsi di nuovo, quasi a dare spazio alla fitta macchia mediterranea che circonda una villa da sogno, sola soletta in mezzo a quello splendore. Peccato che la leggera foschia e le nuvole di oggi non permettano una vista eccezionale. L’orizzonte si scorge a malapena e anche i colori del mare sembrano un po’ sbiaditi.
Quando arriviamo a Taormina, tra mostri di cemento e evidenti casi di abusivismo edilizio, è il caos totale. Oggi pare sia impossibile riuscire a trovare un parcheggio, anche in quelli a pagamento. Facciamo numerosi giri finché, sotto un principio di pioggia, decidiamo di non buttare del tutto la giornata salendo a Castelmola.
Questo borgo è stato dichiarato tra i più belli d’Italia e ha una storia antichissima. Ancora oggi è conservato in stile medievale, ma le sue origini risalirebbero all’epoca pre ellenica ed è sopravvissuto a guerre, tiranni, colonizzazioni arabe e saracene. Quando arriviamo però non si vede un tubo. Il parcheggio a pagamento che dà sul Belvedere sembra uscito da Silent Hill tanto è spessa la nebbia. Non si riesce a vedere aldilà della balconata. Arriviamo con calma su in cima al paese, appena dietro il crinale. Lungo la salita per entrare ci sono bancarelle che vendono CD pirata di artisti neo melodici mai sentiti prima, giocattoli, dolciumi, saponi. L’ingresso a Castelmola è una deliziosa piazzetta tutta lastricata di bianco e di nero, con un arco leggermente in altura sulla destra a rappresentare l’antica porta della cittadina, e una chiesetta dalla facciata semplice e armoniosa. Un bar dirimpetto alla chiesa ha i tavoli all’aperto occupati da tanti turisti stranieri con lo sguardo goloso di chi ha cominciato ad assaporare la granita con brioche prima ancora con gli occhi che con il palato. Ovunque ci sono addobbi che inneggiano al patrono del paese, San Giorgio, festa che cade di 23 aprile e che dura per i successivi tre o quattro giorni, un momento molto sentito dalla comunità, evidentemente.
Scendendo tra vicoli che vendono ceramiche artigianali e vino alla mandorla, una specialità tutta locale, arriviamo alla Piazza del Duomo dove la chiesa, datata 1934, è dedicata a San Nicola. Bello il campanile con le bifore, dall’aspetto arabeggiante, e tutta la piazzetta lastricata sulla quale affaccia. Ci fermiamo in uno dei bar più caratteristici del paese, il Turrisi, locale che ha fatto dei simboli apotropaici una propria firma. Ovunque ci sono peni, mammelle, statuette dall’aria pingue. “Too much” direbbero altrove…Ma i panini che ordiniamo sono proprio buoni!
Salgo su in cima alla montagnola per vedere i resti del castello che un tempo rappresentava un punto di difesa importantissimo per il paese e per la sottostante Taormina. Ma dell’antica fortezza è rimasto ben poco… Fortunatamente però il cielo si sta aprendo e con un magnifico sole ci fermiamo a gustare una buona granita alle mandorle.
Torniamo a valle per riprovare a visitare Taormina, ma non c’è niente da fare, con la macchina è impossibile riuscire a trovare un posto. Ci tocca rinunciare, purtroppo, e provare a vederla in un’altra occasione.
Torniamo a Catania stanchi morti e dopo un bel riposo andiamo a cena ad Aci Trezza. Una visita ad Aci Trezza significa ripercorrere i luoghi protagonisti de I Malavoglia, uno dei miei libri preferiti. Tutto rimanda alla sfortunate vicende di Padron ’Ntoni e Bastianazzo, dalla Casa del Nespolo (nome favorito per la maggior parte dei locali e delle pensioni lungo mare), alle colonne di basalto utilizzate per ormeggiare le barche dei pescatori (la Provvidenza). Aci Trezza è ancora un piccolo borgo di pescatori e a me è piaciuto molto, si respira una bella atmosfera. Il lungomare è vivace, pieno di chioschi, ed è una platea privilegiata sui faraglioni in mezzo al mare, davvero scenografici, e la chiesa di San Giovanni Battista, leggermente in altura, che sembra guardarti col suo occhio benevolo.
Proviamo un ristorante che ha l’affaccio sul porto e memori dell’esperienza sfortunata della sera prima chiediamo alla cameriera cosa ci sia di pesce fresco. Restiamo sconcertati, solo le sarde e la paranza sono stati pescati oggi! E siamo a due passi dal mercato ittico!
Ovviamente mangiamo bene, ma solo perchè siamo andati sul sicuro. Ottime le cassettine.
Lunedì approfondiamo la conoscenza con Catania andando alla Piscaria, il celebre mercato che si tiene ogni giorno dalle 04:00 alle 15:30, tranne la domenica, tra Piazza Pardo e Piazza Alonzo di Benedetto, dietro la Fontana dell’Amenano.
Mi aspettavo il vociare incessante e le atmosfere da suk arabo, come avevo letto da qualche parte, invece mi ha fatto piacere trovare un mercato squisitamente all’italiana e quindi, forse, a maggior ragione, ancora più folcloristico. I mercati del pesce mi mettono sempre allegria, non so perché. Sarà che adoro mangiare pesce e la mia golosità mi spinge con ancora più curiosità tra questi banchi colorati e dall’odore per me inconfondibile e buonissimo. Quello che non sapevo è che alla Piscaria si trova molto altro oltre che ai prodotti del mare. Ci sono banchi di frutta e verdura, macellerie nel senso antico del termine, cioè proprio con le interiora degli animali appese ed esposte in tutta la loro bellezza, pizzicheria e spezie. Il mio amore per i mercati se possibile è diventato viscerale.
Torniamo verso via Etnea ma stavolta proseguiamo oltre la Colleggiata, a spasso per negozi, alla ricerca di qualche souvenir. Anche nei negozi a portata di tasca c’è un gusto e una cura tutta particolare nella scelta della merce. Arriva l’ora di pranzo. Ci piacerebbe andare a mangiare alla Pasticceria Savia, ma di lunedì è chiusa. Accanto c’è Spinella, un locale con tavoli all’aperto che oltre a delizie dolci fa anche gastronomia salata. Ragazzi, che mangiata favolosa! Proviamo in un colpo solo tutta la ricchezza dello street food siciliano: arancini, bolognesi, cartocciate, pizzette e poi cannoli ripieni di ricotta e pistacchio, granite con panna, gelato.
Soddisfatti entriamo in Villa Bellini, proprio dirimpetto il bar, un parco splendido e ben tenuto dove passiamo un paio di ore di totale relax con Sami che si scatena nell’area giochi.
Tornando scattiamo qualche foto all’Odeon, le rovine di un antico anfiteatro romano, in Piazza Bellini, quindi, in serata, andiamo a vedere il Castello Ursino, oggi sede del Museo Civico. Costruito in epoca medievale, questo maniero ha un aspetto tozzo, a base quadrata, delimitato agli angoli da quattro torrioni, anche se subì parecchie modifiche nel tempo per via delle eruzioni vulcaniche. Ebbe un ruolo fondamentale per la difesa della città e ospitò i regnanti del casato di Aragona fino al XVI secolo per poi cadere nell’oblio.
A cena scegliamo un posto che dà un tocco di internazionalità a Catania. Si tratta di una pizzeria che fa anche hamburger in pieno centro, sotto i bei portici di Piazza Mazzini, una delle mie strade preferite in città.
Martedì partiamo per Siracusa, o meglio, puntiamo direttamente all’Isola di Ortigia, visto che tutto intorno al centro storico sono stati costruiti km e km di raffinerie. Parcheggiamo l’auto in uno dei posteggi a pagamento chiamato Talete ed entriamo direttamente dal mercato. Mi rendo conto che, forse, tutte le città si dovrebbero cominciare a conoscere dal mercato, per capirne gusti e abitudini.
Il mercato di Siracusa è pittoresco e ricco di cose buone, dalle montagne di olive aromatizzate al finocchio e ai peperoni, alle spezie profumate, dalla pasta di mandorle semplice e ripiena (le mie papille sono ancora in festa), alla crema e al pesto di pistacchio.
Uscendo dai vicoletti ci ritroviamo in un’ampia piazza soleggiata dove spiccano le rovine di uno dei templi dorici più antichi di tutta la Sicilia, il Tempio di Apollo, datato intorno al VI secolo a.C.
Imbocchiamo il corso che in salita conduce a Piazza Archimede il cui centro è sormontato da una scenografica fontana, la Fontana di Diana, quasi un groviglio di zoccoli, cavalli e divinità in mezzo alla foga dell’acqua.
Ci inoltriamo nel cuore del centro storico, seguendo le indicazioni per il Duomo, restando affascinati passo dopo passo dalla grazia di questa cittadina antica, dalla pietra chiara che le conferisce una luce tutta particolare.
Ci fermiamo per un boccone in uno dei tanti bar-gastronomia, e uscendo da uno stretto vicolo ci ritroviamo come per incanto nella magnifica Piazza Duomo. Credo si possa senza alcun dubbio definire una delle piazze più belle d’Italia, un’armonia di stili, di dimensioni… E’ semplicemente perfetta, quasi una scenografia. Si ha la sensazione di trovarsi in un salotto, quello buono e più elegante, un palco che espone tutta la fine esuberanza del Barocco Siciliano.
Protagonista indiscussa della piazza è la Cattedrale della Natività di Maria Santissima, costruita su quello che era un antico tempio dedicato a Minerva, all’interno si possono ancora vedere le possenti colonne, ma anche, sulla sua destra, il Palazzo del Senato o Palazzo Vermexio, dal nome dell’architetto che lo progettò.
Quasi di fronte la Cattedrale svetta Palazzo Beneventano del Bosco, dal nome della famiglia nobiliare che lo acquistò dopo il violento terremoto del 1693. Già solo il cortile interno, con il portico e le belle vetrate simmetriche, bastano a far percepire l’armonia che si cela in questa struttura e innamorarsene.
In fondo alla piazza, quasi in posizione defilata, la Chiesa di Santa Lucia, con il pavimento in meravigliose maioliche. Scendiamo verso il mare, cominciamo quasi a sentirne l’odore finchè una fetta di blu brillante e luminoso si staglia per noi all’orizzonte.
Non so spiegarvi la sorpresa nell’uscire dai vicoli stretti di Ortigia e ritrovarsi all’improvviso in un ampio piazzale che si spalanca sul mare. Un capannello di gente si affaccia dall’alto per ammirare la suggestiva Fonte di Aretusa, uno specchio di acqua dolce popolato da papiri e grasse carpe. Non mi stupisce che in passato abbia ispirato miti e leggende: una fonte sotterranea dalla doppia struttura circolare che esce in superficie per poi riversarsi in mare…Voi che dite?
Proseguiamo la nostra passeggiata lungomare, una serie di ristoranti con affaccio privilegiato su questa tavola trasparente e che invita al tuffo, e una volta oltrepassato il Castello Maniace proseguiamo lungo la scogliera sotto un sole che non dà tregua. Passiamo davanti la splendida Chiesa dello Spirito Santo, la cui cupola calcarea si vede da tutto il lungo mare di Ortigia che pian piano curva, sinuoso, creando golfi e insenature. A fine giornata siamo talmente stanchi e accaldati che decidiamo di fermarci a un chiosco per un paio di cocktail da strada da urlo, il mandarino al limone e il limone al sale.
Ci piacerebbe vedere il Teatro e le Saline di Siracusa, ma il bambino non sta bene e anche noi siamo sensibilmente stanchi, così preferiamo tornare a Catania.
Avevamo sentito parlare della bellezza di Siracusa, ma sinceramente non ce l’aspettavamo TANTO bella. Sarà che non eravamo neanche supportati da una guida, avendo acquistato solo quella per Catania e Taormina, abbiamo aggiunto Siracusa all’ultimo momento e forse proprio questo girovagare quasi alla cieca ha contribuito ad amplificare quel senso di disarmante stupore che solo i più bei luoghi al mondo sanno regalarti.